Immagina di camminare lungo il Tevere, con la luce dorata che rimbalza sull’acqua e il rumore lontano del traffico romano. Poi, un passo dopo l’altro, entri in un angolo di città dove ogni muro racconta storie di coraggio, ogni profumo porta con sé secoli di tradizione. Questo è il Ghetto ebraico di Roma, un quartiere che non si visita soltanto: si vive. In queste strade si incontrano la memoria, la cucina più autentica e un’atmosfera che sembra custodire il respiro della storia. Una storia che non è solo un capitolo di libro: è incisa nelle pietre, nei profumi che arrivano dalle piccole trattorie e nelle voci che si intrecciano in più lingue, tra residenti e visitatori.
E oggi sarò io a guidarti, passo dopo passo, in questo viaggio tra memoria, tradizioni e piccoli segreti che rendono unico questo angolo di città.

Cenni storici
Tra i resti della Roma antica e medievale, sorge il ghetto ebraico. Un quartiere che racconta una storia ben precisa e che evoca nelle nostre memorie ancora fitte di dolore.
Ad oggi il ghetto ebraico di Roma è il più longevo. Fu istituito con una bolla papale da Papa Paolo IV nel 1555 che revocava i diritti agli ebrei romani costringendoli a vivere all’interno delle mura: chiamato “serraglio degli ebrei“. Gli spazi erano stretti, le case umide per le frequenti inondazioni del Tevere. Eppure, nonostante le difficoltà, il ghetto diventò un luogo pulsante di vita: fiorirono botteghe, scuole. E le feste religiose, e le ricette di famiglia, continuarono a sopravvivere. Qui cultura ebraica e romana si fusero in un’identità unica. Oggi, quelle vie conservano il ricordo di quell’epoca e mentre passeggi tra vicoli e piazzette, puoi ancora percepire quel legame tra passato e presente.
Come arrivare
Arrivare qui è semplice: dalla stazione Termini con la linea H in 20 minuti si arriva a Via del Foro Olitorio. Per il ghetto, da lì, bastano 5 minuti a piedi. Da Trastevere il tragitto è breve: a piedi, attraversando Ponte Garibaldi, o con la linea 8 fino alla fermata Cairoli e sempre a piedi per altri 5 minuti. I tram e gli autobus si fermano a pochi passi, ma la verità è che il modo migliore per arrivare è farlo camminando, così da assaporare il passaggio dalla città moderna a questo angolo senza tempo. Una volta entrati, il ritmo cambia: non c’è fretta, e due o tre ore sono più che sufficienti per visitarlo con calma, fermandosi a guardare un dettaglio architettonico, una vetrina, una pietra d’inciampo.
Ghetto ebraico di Roma: cosa vedere
Ora entriamo nel cuore del ghetto ebraico di Roma, per scoprire insieme i luoghi che ne raccontano la storia, la vita quotidiana e le tradizioni, camminando tra le strade strette e i cortili che conservano ancora l’anima di questo quartiere unico. Ecco cosa vedere:
Sinagoga di Roma (Tempio Maggiore)
Inaugurata nel 1904, è un simbolo di rinascita per la comunità ebraica dopo la demolizione del vecchio ghetto. La sua cupola squadrata è unica a Roma e visibile da molti punti della città. All’interno, mosaici colorati, decorazioni liberty e un’imponente Arca Santa raccontano la spiritualità e la forza di una comunità che ha superato secoli di restrizioni. Nello stesso edificio si trova il Museo Ebraico, con oggetti rituali, documenti e fotografie che custodiscono la memoria di generazioni.

Portico d’Ottavia
Un tuffo nell’antica Roma: costruito da Augusto e dedicato alla sorella Ottavia, era il cuore del mercato del pesce medievale, a due passi dal fiume. Durante il periodo del ghetto, qui lavoravano molti ebrei, in particolare nella pulizia e vendita del pesce, mestiere a cui erano spesso relegati. Ancora oggi, tra le colonne e i resti marmorei, si respira l’eco di un passato che unisce epoca imperiale e vita quotidiana.

Fontana delle Tartarughe
Situata in Piazza Mattei, è una delle fontane più eleganti di Roma, con quattro giovani che aiutano piccole tartarughe a entrare nella vasca superiore. Secondo una leggenda, il duca Mattei la fece costruire in una sola notte per impressionare il padre della donna che voleva sposare.

Le pietre d’inciampo
Piccole targhe d’ottone incastonate nei marciapiedi, davanti alle case da cui furono deportati uomini, donne e bambini durante la Seconda guerra mondiale. Ognuna porta inciso un nome, una data e un destino. Sono un invito silenzioso a fermarsi e ricordare.

Teatro di Marcello
Anche se oggi è parzialmente inglobato in edifici rinascimentali, conserva la maestosità di un anfiteatro dell’epoca di Augusto. Gli ebrei del ghetto vivevano letteralmente all’ombra di queste arcate, e il teatro fungeva da sfondo costante alla loro vita. Di sera, illuminato, regala uno spettacolo suggestivo.

Cosa mangiare
È in questo punto che il ghetto svela un altro volto, quello gastronomico.
La cucina kosher, che significa “adatto” o “conforme”, è il cuore della tradizione alimentare ebraica e ha regole precise che risalgono alla Torah. Indica tutto ciò che è permesso mangiare secondo la legge ebraica: quali alimenti si possono consumare, come devono essere preparati e combinati. Ad esempio, carne e latticini non possono essere cucinati insieme, e solo alcune specie di animali e pesci sono ammessi. La macellazione della carne (shechità ) deve seguire un metodo rituale specifico per essere considerata kosher.
Nel ghetto di Roma, queste regole hanno avuto un ruolo fondamentale: hanno definito il modo di cucinare, creando ricette che uniscono la tradizione ebraica con i sapori tipici romani.
Sedersi a tavola e ordinare carciofi alla giudia è un rito, poi c’è la crostata di ricotta e visciole, dolce e delicata, e la pizza ebraica, ricca di frutta secca.
Oggi, anche chi non osserva strettamente la dieta kosher può gustare questi piatti, ma il rispetto delle regole kosher rimane un legame diretto con la storia e l’identità della comunità ebraica romana, testimoniando secoli di cultura, resilienza e creatività in cucina.

Ghetto di Roma: conclusione
Roma intorno fa da cornice perfetta. Campo de’ Fiori, Trastevere sono a pochi passi, ma il ghetto ha un’atmosfera tutta sua, più intima e raccolta. Qui non sei un semplice turista: sei un ospite. E mentre il sole tramonta dietro i tetti, capisci che non è solo un luogo da vedere, ma un’esperienza che rimane. Il Ghetto ebraico di Roma è memoria viva, è cucina che racconta identità, è il sorriso di chi ti serve un piatto portandoti, senza dirlo, un pezzetto di storia.

